mardi 22 février 2011

Review on Metallized.it ( italian )

Modern Funeral Art - Doom with a view



Una sfida, una scommessa con me stesso: iniziare ad ascoltare Doom Metal.

Sembra facile, visto dall'esterno. Ma, come ogni nuova esperienza, richiede una certa preparazione.

Occorre una grande disciplina psico-fisica, tuffarsi nelle profondità del Doom, inabissarsi nei suoi appiccicosi liquami neri, viscosi come melassa e velenosi come cobra, abituandosi a nuove pressioni atmosferiche che ti schiacciano la testa nella morsa di un suono lento ed opprimente.

La soluzione più semplice per affrontare il problema è immergersi per gradi. Si può insomma spizzicare il genere ascoltando pochi brani di più band, oppure si può scegliere qualche esponente particolarmente leggero. In effetti, ascoltare pezzi di canzoni Doom potrebbe rivelarsi una delle esperienze più deleterie ed inefficaci della nostra vita, perchè senza il senso di un tutto necessariamente sfuggirebbe il messaggio di fondo. E dunque immergiamoci nelle torbide acque dei Modern Funeral Art, uno scenario intermedio, diviso tra il Doom di maniera ed il Gothic più oscuro.



E quale migliore modo per un'iniziazione musicale se non un bel track by track?

State of the World parte spedita -forse troppo spedita- con un riff roccioso di chiara matrice stoner. Le ottave delle chitarre puntano direttamente alle interiora, scavando giù, sempre più giù, in una folle corsa al ribasso. Il tutto esplode improvvisamente in un refrain liberatorio, in cui il cantato di Arnaud Spitz dà il meglio di sè sprigionando un lamentoso orgasmo dark. Il brano migliore del lotto, non a caso posto in apertura.

La successiva Sol Invictus tira leggermente il freno, affidando l'incedere ad un ossessionante pianoforte, di compendio alle canoniche chitarre. Nulla di particolarmente appassionante.

Alexander si avvicina nuovamente alle tinte rock dello stoner, ma aumentando il contributo Gothic nel cantato. Spuntano addirittura i primi accenni solisti delle sei corde, funzionali alla costruzione di un outro abbastanza raffinata. E' la canzone "trainante" da un punto di vista commerciale, dotata di una struttura particolarmente orecchiabile, e dunque fruibile.

Mary Jane Kelly strizza l'occhio alle melodie costruite spesso, nel corso degli anni, dall'arcinoto Ozzy, soprattutto nel periodo Black Sabbath: naturalmente tutte le ottave anche qui risultano mostruosamente ribassate. Il giro armonico appare complessivamente stantìo e fine a se stesso: siamo insomma lontani anni luce dai maestri.

Dante in the Dusty Woods è forse il brano del lotto più simile, da un punto di vista tonale, al "True" Doom, ma con un incedere molto più nervoso, per certi versi accomunabile alle composizioni degli Eucharist.

Segue la lunga Deathcode of the Devil Worshippers, una suite divisa in tre atti, tutti votati al mid-tempo. Come in State of the World ed in Alexander, anche qui il vero protagonista resta il cantante Arnaud Spitz, complice una notevole teatralità, perfetta per esaltare l'aridità del sound, intento non a dipingere scenari colorati da gustosi intrecci di melodie ed armonie, come accade nella maggior parte del Metal classico, ma piuttosto a gettare sullo spartito larghe campiture di colore grumoso e cupo.

A tal proposito va fatta una riflessione sulla produzione. Non ho mai amato Dan Swano dietro al mixer, e questo prodotto non fa eccezione. Il mastering spesso è la scialuppa di salvataggio per evitare l'affondo di dischi mal registrati, ma talvolta capita che concorra a peggiorare le cose. In questo caso -per fortuna- almeno il cantato è stato salvato. E meno male, aggiungo, considerato che in definitiva resta l'aspetto più interessante del platter. La conclusiva The Dance infatti non apporta nulla di nuovo, ma anzi si attesta su parametri Rock notevolmente abusati.



Sulla brochure di Doom With A View campeggia a grandi lettere il manifesto dei Modern Funeral Art: The missing link between gothic and metal. Francamente, non credo che i nostri francesi possano permettersi sentenze del genere ma, ciò non di meno, meritano due lodi. Una lode per aver provato ad amalgamare realtà musicali diverse con una ostinata coerenza di fondo. Ed una lode per aver tentato di avvicinare profani come me alla fosca dimensione del Doom. E' stato solo un tentativo ma... mi auguro che ci riproveranno.



Renato Zampieri

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